Città vicine, Città ribelli, Città senza paura

di TONI CASANO

venerdì p.v. (h.17,30) sarà presentato a Palermo, nella cornice della Casa Mediterranea delle Donne, il libro “L’Europa delle città vicine”. Alla discussione sarà presente, assieme ad alcune autrici e curatrici del volume, anche Toni Casano, di sudcomune, del quale pubblichiamo la  recensione che segue.


«Al di sopra delle Istituzioni, destinate a tutelare il diritto, le persone, le libertà democratiche, bisogna inventarne altre, destinate a discernere e a eliminare tutto ciò che nella vita contemporanea schiaccia le anime sotto il peso dell’ingiustizia, della menzogna, della bassezza. Bisogna inventarle, perché sono sconosciute, ed è impossibile dubitare che siano indispensabili».

A chiusura della Introduzione del volume L’Europa delle città vicine, le curatrici dei materiali e dei contributi presentati al convegno dall’omonimo titolo, organizzato il 21 febbraio del 2016 a Roma, presso la Casa Internazionale delle donne, nel sintetizzare i temi emersi dal confronto, hanno fatto precedere la citazione di cui sopra, estratta dalla raccolta di Simone Weil Una costituente per l’Europa (scritta nel ’43 in quel di Londra dov’era esule), quasi a voler richiamare l’obiettivo politico dell’assise: il pensiero della filosofa francese attraversa in lungo e in largo il dibattito che accomuna le Città Vicine; la sua presenza è una costante dentro la discussione, su cui si sono misurati all’incirca una cinquantina d’interventi.

Nel sistematizzare i materiali da pubblicare, le curatrici, al fine di rendere quanto più organica la lettura,  hanno riprodotto la seguente sintesi, evidenziandone le interconnessioni: la “questione delle migrazioni”, la “militarizzazione”, lo spazio europeo come luogo dell’abitare e vivere, la crisi economica e il modello neoliberista e l’estensione del rapporto Nord/Sud sul vecchio continente (una sorta di riedizione della vexata quaestio “meridionalista” in dimensione sovranazionale che si fa ora questione mediterranea).

Ovviamente i temi sono correlati ed interdipendenti, rientrano nell’ambito delle contraddizioni che originano dal modello di sviluppo economico dominante e dalla crisi della modernità, la quale ha visto fallire le aspettative promesse dalla democrazia rappresentativa, allorquando venivano garantite colla globalizzazione “magnifiche sorti progressive” che avrebbero spazzato via povertà, guerre, disuguaglianze e dittature.

Precisiamo, a scanso di equivoci, che il convegno non era la chiamata a raccolta di una soggettività ideologicamente schierata, il che emerge chiaramente anche dalla lettura dei materiali pubblicati. Semmai è stata una occasione politica fuori dai luoghi consunti del Politico, un prendere voce dal basso da parte di soggetti plurali e singolari che rivendicano e sperimentano praticamente modalità costituende di quelle istituzioni comuni, che bisogna inventare all’interno dello spazio europeo e che Simone Weil, senza ombra di dubbio alcuno, ne ha avvertito l’indispensabilità.

La costruzione reticolare di piattaforme civiche, dentro le quali possono prendere forma soggettivante le moltitudini metropolitane, si rende oggi ancora più pregnante a maggior ragione, secondo noi, proprio adesso che i populismi-sovranisti di destra e i populismi-statalisti di sinistra minacciano la prospettiva comune di un’altra Europa, rimarcando muri e confini identitari, aiutati in questa deriva dalle ottuse scelte recessive o fallimentari intraprese dall’UE sul piano economico-finanziario, per esempio: fiscal compact e quantitative easing. Insomma, da un lato, l’imposizione del pareggio di bilancio per gli stati-membri, con l’effetto della riduzione progressiva della spesa sociale e conseguente impoverimento di ampie fasce intermedie della composizione sociale; dall’altro l’iniezione di liquidità che, però, ha generato effetti speculativi, dati i reinvestimenti bancari delle provviste monetarie -elargite al tasso dell’1% dalla BCE- in titoli statali garantiti a  saggi d’interesse ben superiori a quelli d’acquisto.

Quello dello spazio europeo è il comune sentire che ha unito, pur nelle differenze, questa area di soggetti chiamati a misurarsi sui processi di un’altra Europa possibile. Peccato che all’incontro mancavano altre aree che avrebbero potuto portare in dote altre esperienze  concrete ed elaborazioni teoriche e lessicali sui progetti di neomunicipalismo, di cui comunque bisognerà in futuro tener conto, non solo per sviluppare un linguaggio comunicativo senza zone d’ombra, ma per accelerare l’allargamento dei processi sociali costituendi dentro e fuori l’ordinamento giuridico dato: ci riferiamo a quelle esperienze di movimento – come ci insegna la vicenda di Barcellona en Comú con la sindacatura di Ada Colau – che hanno portato fin dentro le istituzioni i conflitti sociali, provando la torsione sulle leve di governo piegandole in favore delle politiche autonome e partecipative contro le politiche istituzionali neoliberiste.

Quello delle piattaforme civiche delle città iberiche, governate dalle coalizioni di movimento e sostenute anche da Podemos (le cui radici affondano dentro le manifestazioni del 15-M degli Indignados), è un punto di riferimento a cui guardare.  Questa prospettiva è la cifra politica che, almeno secondo la nostra lettura, emerge dal dibattito de “le Città Vicine”. In questo senso ci è parso opportuno prendere a misura di confronto, senza nulla togliere alla valenza degli altri, gli interventi di Franca Fortunato che sembrano offrire una linea d’orientamento per definire percorsi autonomi di pratiche relazionali non omologabili alla razionalità dominante.

La Fortunato ci pare auspicare, sulla scia del modello Barcelona en comù, l’apertura negoziale diretta dei territori con le istituzioni europee, attraverso la soggettivazione della Rete delle “Città Ribelli”. Partendo specificamente dal laboratorio catalano (da dove la sindaca militante “lavora per allargare sempre più la rete delle città di autogoverno”) e traendo spunto anche dall’esperienza delle “Città Vicine”  (nella quale si afferma un punto di vista politico al femminile sulle pratiche relazionali “tra donne e tra donne e uomini”, così come recita il manifesto di chiusura del volume), la Fortunato registra la possibilità di costruire l’altra Europa, in opposizione a quella in atto prevalente, cioè alla “Europa dei trattati, degli Stati nazionali” che affida alla tecnicalità governamentale, ovvero ad una entità gerarchica sovradeterminata -qual è la Troika (BCE/FMI/CE), che agisce fuori da ogni rapporto politico democratico, sia pure indiretto ovvero della delega rappresentativa.

In sostanza, fra le tante ipotesi emerse da “Le Città vicine”, su una s’è registrata la massima convergenza. Non un’idea-forza, ma la piena consapevolezza che senza lo spazio europeo non v’è alternativa costituente di nuove istituzioni comuni nascenti dal basso: questo è un processo ineludibile anche se ancora privo di un suo Statuto sociale, ed abbiamo visto pure da vicino le sue potenzialità relazionali, istitutivi di rapporti sociali ontologicamente fondativi. Le istituzioni del diritto comune le abbiamo viste materializzarsi e le abbiamo riconosciute nell’attraversamento delle strade del vecchio continente,  in quelle giornate sotto la calura estiva, quando l’altra Europa ha “accolto, soccorso, vestito, nutrito –a volte sfidando anche i propri governanti- chi, dopo aver attraversato il mare, si è messo in cammino verso le città europee, abbattendo diffidenza e muri di filo spinato”.

In conclusione, ci pare utile segnalare – dato il filo ideale che lega le Città Vicine alle Città senza paura -, il Meeting internazionale “Fearless Cities”, tenutosi la scorsa settimana (dal 9 all’11) nella metropoli catalana e che ha visto la partecipazione di oltre 600 accreditati, provenienti da 180 città di 40 paesi differenti. Un evento straordinario che getta lo sguardo della Rete delle Città Ribelli al di là della edificazione di un superstato sovranista. Così come dichiarato dai promotori del meeting, che hanno individuato nell’autogoverno locale le forme della democrazia direttamente partecipata, bisogna partire dal dato che «in tutto il mondo, un numero crescenti di città grandi e piccole si schiera in difesa dei diritti umani, della democrazia e dei beni comuni». Pertanto le finalità da percorrere sono quelle di «consentire ai movimenti comunali di costruire reti globali di solidarietà e speranza di fronte all’odio, ai confini e ai vecchi e nuovi muri». Insomma ci pare che i solchi tracciati, pur partendo da diversi punti dell’urbe globalizzata, tendano sempre più ad intrecciarsi come Città vicine/Città ribelli/Città senza paura.