Per una politica dei beni comuni urbani

di SUDCOMUNE

Nelle città la tematica dei beni comuni non sarebbe divenuta parte del dibattito politico sul comune senza il salto di qualità compiuto dal ciclo di movimenti sociali del 2011 che, alla efficace contestazione del capitalismo neoliberale, fece seguire rivendicazioni di spazi di democrazia reale e la ricerca di nuovi modi di fare politica. 

Un’ampia riflessione ha messo in evidenza un punto fondamentale di quel ciclo di movimenti (Occupy Wall Street, Podemos, Barcelona en Comù, la vittoria referendaria sull’acqua come bene comune in Italia): non si è trattato solamente di lotte per il “diritto alla città” (trasporti, casa, lavoro, salute), come nella tradizione novecentesca, ma di lotte in cui sono emerse “singolarità insorgenti”, divenute man mano “moltitudini” in seguito a un processo di auto riconoscimento collettivo. La città è il luogo dove è avvenuto e avviene questo processo, il luogo degli incontri e della dimensione politica sui quali si fondano.

Negli ultimi anni abbiamo visto però le cose cambiare in peggio. Nella città le relazioni tendono progressivamente a diventare superficiali e indifferenti. Diceva Marx che nella società capitalistica i rapporti sociali sono concepiti come rapporti tra cose fisiche, ed è questo quello che avviene oggi nelle città, dove ogni tipo di impegno civile pare scordato cosi come appare superflua e inutile la curiosità umana verso gli altri. In questo senso potremmo dire che la città stessa pare cessata e che molti sono i segnali di ciò: la standardizzazione dell’ambiente urbano, con l’emergere di una “architettura involucro”, si è accompagnata alla standardizzazione dei consumi: una rete globale di negozi in cui si vendono prodotti identici in spazi tutti uguali. Le città non offrono più nulla di inedito e l’omogenizzazione degli spazi pubblici disperde interi patrimoni di storia e memoria comune. L’omologazione dei consumi estingue i riferimenti locali ed il degrado della vita quotidiana, che investe tutto e tutti, non poteva che manifestarsi fortemente nei quartieri periferici e popolari.

La socialdemocrazia, in tutte le sue articolazioni, con riferimento a questi problemi ha adottato la parola d’ordine «partecipazione dei cittadini». E sono proliferate associazioni, che si fanno rappresentanti e portatrici delle esigenze della popolazione nei confronti dei Municipi, ma che spesso, in un mare di parole sui principi e sui valori e in favore del dialogo, tendono a occultare le condizioni di vita materiali e i desideri dei cittadini, procedendo cosi alla depoliticizzazione dei problemi sociali dei cittadini.

Con questa consapevolezza noi di Sud Comune ci siamo messi ad indagare sul rapporto città/comune per tematizzare e sperimentare, là dove possibile, l’ipotesi dei beni comuni urbani e della città come fonte della produzione “comune”. Con l’approvazione del Regolamento dei Beni Comuni da parte dell’amministrazione di Rende, di fatti, abbiamo uno strumento per muoverci in un quadro giuridico e avviare sperimentazioni che alludono a nuove forme di democrazia, incentrate non solo sulla partecipazione dei cittadini ma anche sul loro coinvolgimento e sulla loro capacità di decisione. Democrazia diretta, incentrata su forme di gestione autonoma o co-partecipata di beni da parte di comunità organizzate di abitanti.

Questo è per noi, oggi, un nodo fondamentale della questione politica e teorica: dimostrare che i cittadini che usano e si prendono cura dei beni comuni urbani producono uno straordinario valore aggiunto per l’intera comunità di riferimento, perché riproducono continuamente le reti di socialità e cooperazione ed il comune che in esso risiede.

La grande trasformazione della città insiste sulla natura dei rapporti sociali che i cittadini in esse stabiliranno e nei “diritti” che ne seguiranno. Oggi è fondamentale generare e inventare il “comune”  dentro le città. Occorre tessere incessantemente relazioni positive, in una pratica quotidiana di confronto in grado di coinvolgere gli abitanti, non solo gli attivisti di movimento e le realtà più o meno organizzate, in momenti di discussione e condivisione, in assemblee ed incontri per riprendersi insieme la città.

(segue)