«Vogliamo tutto!»


Ricordiamo Nanni Balestrini con la pubblicazione del primo capitolo del suo meraviglioso «Vogliamo tutto», dal titolo “Il sud” (estratto da bibliotecamarxista.org). Nanni Balestrini acconsentì generosamente alla pubblicazione di molte sue opere nel numero 1/2 della nostra rivista Sudcomune. Biopolitica inchieste soggettivazioni (deriveapprodi). Lo ringraziamo per questo e, soprattutto, per tutto quello che ha fatto e che ci ha lasciato. Ciao Nanni.


Il sud

Nel sud erano già dieci quindici anni che era cominciato. L’intervento Cassa le nuove industrie la campagna che deve essere industrializzata. E nei comizi che si sentivano allora si diceva che per il progresso nel mezzogiorno bisognava lavorare. Per una nuova dignità umana bisognava produrre. Che ci voleva un nuovo sud lo sviluppo pane per tutti lavoro per tutti eccetera. Lo diceva la Dc lo diceva il Pci lo dicevano tutti.

Che poi quello è stato invece il via all’emigrazione il segnale che tutti dovevano partire su per le fabbriche del nord. Perché nel nord Italia e nell’Europa le fabbriche erano pronte adesso per ricevere tutta quella massa di gente. Gli servivano tutti adesso per le catene di montaggio alla Fiat e alla Volkswagen. E era proprio quell’operaio lí che gli serviva. Un operaio che poteva fare ugualmente tutti i lavori sulla catena come giú nel sud indifferentemente faceva il bracciante o faceva le strade. E che quando era necessario poteva tranquillamente fare anche il disoccupato.

Mentre prima era tutto il contrario. Prima i braccianti dovevano restarsene contadini si doveva tenerli tutti legati alla terra. I lavoratori del sud dovevano essere tenuti tutti legati al sud. Perché se se ne fossero andati tutti a lavorare su nel nord e in Europa allora prima di quindici anni fa ci sarebbe stato un grosso casino lassú. Perché non erano ancora preparati con le fabbriche e con tutto quanto lassú allora. Io queste cose qua che erano successe non le sapevo ancora allora. Me le sono imparate poi nelle discussioni coi compagni. Dopo che l’avevo piantata lí per sempre col lavoro. Dopo il casino che avevo piantato quel giorno lì a Mirafiori.

Ma allora nel sud la parola d’ordine del Pci era: La terra a chi lavora. Ma che cosa gliene poteva fregare ai braccianti della terra della proprietà della terra. Quello che gli fregava a loro erano i soldi che non avevano era la sicurezza di poterseli avere garantiti sempre per tutti i mesi dell’anno. Per cui è finito il Pci nel sud a cambiare la sua politica rispetto al tempo dell’occupazione delle terre. Si è ritirato nelle città amministrative dove non gli resta che correre dietro alle insoddisfazione di artigiani e impiegati. Mentre intanto scoppiano le grandi lotte a Battipaglia e Reggio che per il Pci sono sottoproletari di merda.

E oltre a tutto non è che fosse mai stato povero il sud in generale. Lí si guadagnavano un sacco di soldi da sempre i padroni nell’agricoltura. E cosí aveva continuato a essere dopo la Cassa del Mezzogiorno. Solo che i terrieri erano quelli che guadagnavano mentre quelli che tenevano meno di cinque ettari di terra di lí se ne dovevano sparire.

Facciamo poi anche l’esempio dei padroni delle terre fertili alla periferia di Salerno nella piana del Sele. In questa piana c’erano i pommarolari. Gente che stagionalmente pianta i pomodori e ci lavora tutta la famiglia. Man mano che si guadagnavano i soldi i proprietari hanno trasformato tutto questo lavoro in industria. Cosí adesso producono tutto quanto direttamente dal campo al barattolo di conserva. E i braccianti diventano operai e con le macchine c’è meno gente che lavora ma che produce di piú. E gli altri di lí se ne devono sparire.

Quei proprietari ricchi che la Cassa li aveva espropriati delle terre si erano presi centinaia di milioni in contanti. Anche loro avevano interesse che si facessero le industrie. E poi con quei milioni costruivano appartamenti in città migliaia di appartamenti. E quelli che venivano a lavorare nei cantieri non erano di Salerno la maggior parte venivano da fuori. Gente dell’interno dei paesi di montagna dell’Appennino. Tutta gente che c’aveva la casa il porco le galline la vigna le ulive l’olio ma che lí non ce la facevano piú a campare. Allora si sono venduti sta roba si sono comprati l’appartamento in città e si sono messi lí a lavorare in fabbrica. E cosí in città i disoccupati sono rimasti anzi piú di prima.

Ma era specialmente su al nord che dovevano andarsene la gente dell’interno e dei paesi dell’Appennino. Lí la Cassa non interviene perché di lí se ne devono sparire. Andare al nord a fare lo sviluppo. Perché a loro su gli serviva il nostro sottosviluppo per farlo. Chi ha fatto lo sviluppo del nord tutto lo sviluppo dell’Italia e dell’Europa? Noi lo abbiamo fatto noi i braccianti del sud. Come fossero una cosa diversa gli operai del nord e i braccianti del sud. Altro che sottoproletariato. Perché siamo noi che siamo gli operai del nord. Perché cosa è Torino se non una città del sud? Chi ci lavora? Come Salerno come Reggio come Battipaglia. Dove poi infine capita lí corso Traiano come capita Battipaglia quando si accorge che non ne’ può piú la gente. Con tutte queste storie del lavoro su o giú che c’è o non c’è e è sempre una fregatura. Allora si comincia a capire che l’unica è bruciare tutto. Come a Battipaglia eccetera. Come succederà dappertutto tra un po’ quando saremo pronti. Che poi cambieremo tutto qua finalmente. Li manderemo a fa ‘n culo tutti quanti loro e il loro lavoro di merda.

A Salerno venivano da Nocera da Cava da San Cipriano Picentino da Giffoni da Montecorvino gli edili. Da tutti questi paesi qua venivano gli edili al mattino con le lambrette coi motorini. C’era molto lavoro nella costruzione delle fabbriche. Camionisti per portare il cemento la pietra il ferro. Per fare le strade e tutta sta roba qua. Un boom dell’edilizia a Salerno negli anni 50. Tutti si compravano la lambretta o il motorino. Si cominciava a vedere la prima macchina di massa la 600 che ce l’aveva l’operaio anche. E tutti si compravano il televisore sbucavano fuori antenne della televisione da tutte le parti.

Cominciò a circolare forte la moneta. E c’era sempre piú roba nei negozi di abbigliamento di alimentari eccetera e se ne aprivano sempre di nuovi. Tutti guadagnavano e spendevano di piú a Salerno. Ma in genere non erano il proletariato i disoccupati salernitani. Erano quelli della cintura di paesi intorno. I soldi arrivavano in quei paesi però non restavano in quei paesi naturalmente. La gente si rompeva le scatole di venire tutti i giorni col motorino con la lambretta con la 600 da Montecorvino a Salerno per lavorare e tornarsene poi via la sera. Allora si cercò l’appartamento in città. Infatti tutte queste case nuove che sono state costruite a Salerno sono abitate da gente che prima veniva da fuori.

Molti lavoravano nei cantieri delle case che poi abitavano. Dopo un po’ andavano in questi appartamenti in città e pagavano l’affitto o addirittura lo compravano. Questi qua prima non erano dei proletari come quelli in città cioè gente che non teneva un cazzo. A modo loro erano anche dei proprietari avevano la casa il porco le galline la vigna le ulive l’olio. E riuscivano anche a comprarsi l’appartamento in città. Poi si trovavano il posto in fabbrica. Per le assunzioni in fabbrica ci voleva la raccomandazione. Questi campagnoli portavano il prosciutto al deputato. Portavano olio vino e tutta questa roba qua e cosí andavano a lavorare. Riuscivano a trovare il posto solo in questo modo qua. E poi diventavano proletari come quelli in città anche se in verità lo erano sempre stati.

Anch’io riuscii a trovare il posto perché c’avevo uno zio. Che adesso è pensionato statale era nella finanza. Che c’aveva un cugino nell’ufficio di collocamento. Mi portò nell’ufficio di collocamento. Disse al cugino: Questo è un mio nipote. Tu lo devi aiutare lo devi mandare a lavorare. Quello mi fece la carta mi mandò all’Ideal Standard. Feci il colloquio passai la visita all’Inam. Poi ritornai lí per l’esame psicotecnico. L’esame psicotecnico si passava insieme agli impiegati. Solamente avevamo un tempo diverso. Cioè loro dovevano farlo in un minuto e noi in tre minuti. Poi dissero che ci mandavano a fare un corso. Quelli che avevano fatto l’esame psicotecnico migliore andavano a farlo a Brescia.

Noi chiedemmo per quale motivo andavamo a fare questo corso. Dissero che questo corso ce lo pagava la Cassa del Mezzogiorno e serviva a preparare dei tecnici meridionali per le industrie meridionali. Io quando sentii parlare del corso pensai che fosse tutto un fatto tecnico. Tutto il periodo che ero rimasto disoccupato dopo le scuole professionali mi ero fatto un sacco di corsi. Aggiustatore meccanico tornitore eccetera. Facevo corsi per imparare tutte queste cose. Che poi non m’imparavano un cazzo non servivano proprio a niente. Serviva solo all’ufficio di collocamento per tenere una scuola. Non so per quali motivi politici che c’erano dietro a tutte queste scuole.

Comunque sentendo dire corso pensavo che andavamo lí a sentire delle cose che ce le spiegavano. Per partire per Brescia ci dettero il biglietto gratis ci dettero il cestino da viaggio. Alla stazione di Brescia ci aspettava un assistente sociale dell’Ideal Standard. Ci presero dei tassí ci chiamarono per nome che eravamo una ventina. Dieci da una parte cinque da un’altra sette da un’altra. C’avevano trovato anche le pensioni dove dormire. Queste sono le pensioni che vi abbiamo trovato dissero. Poi se non vi piacciono cambiate voi dopo. E il giorno dopo ci presentammo in fabbrica all’Ideal Standard. E questi qua ci dissero che eravamo dei ragazzi simpatici robusti eccetera. E chiesero se volevamo fare delle gite in Francia a Torino a Milano. L’azienda faceva delle gite settimanali o mensili. Ma a noi non ce ne fregava niente di queste gite e dicemmo sí va be’.

Ci dettero la tuta una tuta bianca col marchio sopra IS. Ci portarono nella fabbrica che c’erano fra i trenta e quaranta gradi di calore. Era piena di umido perché lí c’è tutta la ceramica che si deve asciugare. L’acqua evapora e tutto è umidissimo. Noi ci sentivamo proprio di soffocare. Eravamo piú scuri noi di pelle degli operai dell’Ideal Standard di Brescia. Perché lí ogni sera si devono fare la doccia stanno sempre al caldo nel vapore umido e sempre piú la pelle gli diventa bianca. Poi fuori non è che ci sia tanto sole a Brescia. Per cui noi che venivamo dal sud e era fine estate noi eravamo neri. E a quelli gli spaventava un po’ il fatto.

Comunque ci spiegano. Ci fanno vedere il cesso il bidè il lavabo la colonnina del lavabo la vasca. Ce li sezionano ci spiegano di quanti centimetri devono essere. Quanti minuti deve stare nella forma il lavabo quanti minuti devono stare nella forma tutti i vari cosi. Ci spiegano la forma come è fatta e le altre cose. E poi ci cominciano a fare vedere come si lavora. Vedevo che lí gli operai bresciani facevano questo lavoro dritto senza pensarci su tanto. Lo facevano za za e basta quasi senza farci caso. Allora mi dissi che cazzo significa questo corso porco dio. Qui si tratta di lavorare realmente o si tratta di diventare dei capi?

Be’ mi dissi se si tratta di diventare dei capi allora bisogna lavorare poco. E imparavo con calma io. I miei compagni mettevano due cessi da fare io ne mettevo uno. E andavo avanti a fare cosí. Dopo due o tre mesi che stavamo lí ci mettemmo anche a fare delle lotte. Perché lí facevano sciopero e facevamo sciopero pure noi istintivamente appresso a questi bresciani. Ci pagava la Cassa del Mezzogiorno prendevamo diecimila lire la settimana di trasferta piú di quarantamila lire al mese. Poi ci davano sessantamila lire al mese e c’avevamo la mensa gratis la mensa nell’azienda. C’avevamo il trasporto gratis per tutta la città per tutte le linee.

Prima di Brescia ognuno di noi era di un paese diverso di una zona diversa. E facevamo tutti una vita tipicamente meridionale. Invece lí dormivamo in cinque o sei per pensione mangiavamo allo stesso orario prendevamo gli stessi pullman: E così cominciavamo a capire i vantaggi del lavoro nell’industria. Perché in effetti non è che ci sfruttavano a fare quel lavoro perché stavamo facendo soltanto un corso. Non ci sembrava di essere sfruttati almeno questa era la nostra impressione. E ci avvicinavano dei sindacalisti di fabbrica dicendo che poi una volta tornati nel sud bisognava lottare. Bisognava portare il sud allo stesso livello del nord eccetera.

Un giorno questi operai dell’Ideal Standard facevano una lotta uno sciopero e allora noi ci fermammo a parlare coi sindacalisti. Facevano sciopero per l’aumento del premio di produzione e dissero che noi pure facevamo produzione. E io dissi: No noi facciamo un corso. No fate anche voi la produzione perché quei pezzi che voi fate se li prendono e se li vendono. Voi non è che fate un corso voi producete. Un cesso costa dieci quindicimila lire non è che fate un cazzo. A noi ci va benissimo questo fatto questa scoperta noi che credevamo di vivere a sbafo alle spalle della ditta. E ci mettiamo fuori seduti a non entrare neanche noi.

In quel periodo era arrivato a Brescia il direttore dell’Ideal Standard di Salerno. Ci vede lí seduti per terra e ci chiede che cosa cavolo facciamo. Eh stiamo facendo sciopero. Ma entrate no? Ma noi abbiamo deciso di lottare. Poi dopo due giorni quelli di Brescia smettono la lotta ma noi decidiamo di continuare ancora. Stiamo lí seduti soltanto noi noi venti davanti al cancello gli altri erano entrati. Mentre stavamo lí cosí arriva un guardione e ci chiama: Vi vuole parlare il direttore. Entriamo dentro. Cazzo ci vuole parlare il direttore chissà forse ci vogliono dare qualche aumento.

Entriamo dentro e quello ci fa: Sentite ragazzi nel sud ci sono tanti operai disoccupati voi non siete gli unici. Noi vi possiamo sbattere fuori subito da questo momento. Anzi dovrei averlo già fatto. Per quale motivo avete fatto sciopero? Ve lo ha detto il sindacalista? Siete iscritti a qualche sindacato? No dico perché bisogna essere iscritti a qualche sindacato per fare sciopero? Sí gli scioperi si fanno soltanto col sindacato. Se li fate fuori dal sindacato vi possiamo sbattere via. Eh ma noi non lo sapevamo. Abbiamo fatto la lotta cosí l’hanno fatta gli altri e l’abbiamo fatta pure noi.

Comunque voi volete essere aumentati ma lo sapete che non producete niente? Lo sapete che nella fabbrica di Salerno hanno cominciato a lavorare un mese fa e adesso già producono sedici pezzi e qualcuno anche diciotto? E voi qua ne fate quattordici e prendete di piú? Noi diciamo che non può essere vero che è impossibile che è una bugia per farci smettere. No dice lui io vi posso bloccare il corso da questo momento e vi rimando a Salerno. Se voi volete venire a lavorare ci venite se no ve ne andate. A noi non ci interessa. E non vi do nessun aumento.

O vi sbatto fuori subito o voi decidete qui adesso di tornare a lavorare. E se fate cosí io vado di là e decido se rimandarvi a Salerno o riprendervi a lavorare. Insomma ci mettiamo un po’ a discutere tra noi. Io dico be’ ci conviene tenere duro no? Diciamo che non vogliamo lavorare e cosí questi ci sbattono via. Torniamo giú fuori tutti venti e ci mettiamo a fare casino davanti alla Standard e poi facciamo anche altre cose. Ma alcuni dicono che sono sposati che vogliono finire il corso al piú presto. Vogliono lavorare e guadagnare a Salerno non vogliono fare casino. E cosí si decide di accettare di tornare a lavorare senza avere ottenuto nulla.

Comunque dopo un mese finiamo il corso e torniamo a Salerno. Qua scopriamo che con i soldi della Cassa del Mezzogiorno questi pagavano dei bresciani cioè degli operai dell’Ideal Standard di Brescia con la scusa che dovevano insegnare lí agli operai salernitani. Altro che i nuovi tecnici meridionali. E qua gli operai già producevano piú di noi che avevamo fatto il corso a Brescia. A Brescia la fabbrica c’era da trent’anni e facevano sedici pezzi al giorno. A Salerno che c’era da due mesi già ne facevano diciotto. Questo lo giustificavano dicendo che la fabbrica era moderna che gli impianti erano piú efficienti.

Era soltanto che i pezzi invece di alzarli tu a mano si alzavano con una maniglia insieme tutti quanti. Alcune operazioni venivano automatizzate e ti risparmiavi la schiena almeno. Ma cosí un fatto che poteva essere utile per la salute dell’operaio ti costava invece due pezzi in piú cioè due cessi in piú. Questo non mi andava pensando che a Brescia gli operai c’avevano tutti il mal di schiena. Portavano tutti la fascia intorno ai fianchi perché prendevano degli strappi. E qua questa novità della maniglia cioè non usare la schiena per alzare i pezzi loro l’avevano fatto per evitare che la gente si mettesse in mutua per gli strappi. Che poi invece ce la facevano pagare ancora’ a noi facendoci fare due pezzi in piú. Cioè le nuove macchine nelle nuove fabbriche qua servivano solo per farci lavorare meno gente e che però ognuno produce di piú.

Ma quelli non volevano sentire ragioni. Dicevano: Li vede lei che gli altri lavorano e che fanno diciotto pezzi? Tutti quanti insomma facevano questi diciotto pezzi ero rimasto solo io che ne facevo sedici. Allora mi chiamano in ufficio. Dicono: Senta lei ci sembra un bravo ragazzo ma le dobbiamo cambiare posto. Veramente la dovremmo mandare via perché lei non produce. Ma preferiamo cambiarle posto la mettiamo in un altro reparto. Mi misero in un altro reparto però per due giorni dovevo stare ancora in quello vecchio nel reparto colatura. Perché c’erano dei pezzi secchi che dovevo finire. Dovevo togliere i pezzi dalle forme e finire i pezzi bianchi asciutti che avevo ancora.

Torno giú dall’ufficio e trovo un sindacalista che era andato a chiedere degli aumenti sul cottimo. La direzione gli aveva risposto picche e questo qua aveva detto che bisognava scioperare. Appena sento questo dico: Benissimo. E mi metto a gridare insieme a questo sindacalista: Sciopero, sciopero. Vado vicino ai compagni nel sentiero di colatura e li faccio uscire fuori. Arriva un capo e mi dice: Lei che fa qua questo non è il suo reparto. Io dico: Sí questo è ancora il mio reparto perché devo finire dei pezzi. E perché non li finisce? Eh perché è sciopero. Questo non parla piú.

Eravamo una cinquantina che non lavoravamo. Quelli si mettono a controllare chi lavorava ancora. Allora noi andiamo da quelli che lavorano ancora e li sbattiamo fuori dai sentieri di colatura. I capi si incavolano e uno di loro mi minaccia. Io che stavo mangiando gli sbatto il pane in faccia. Gli sto saltando addosso i miei compagni mi trattengono. Dicono: Hai fatto bene ma cosí basta. Poi andiamo negli altri reparti li facciamo fermare. Usciamo fuori nel cortile e ci mettiamo a fare un’assemblea. Facciamo uno sciopero di quindici giorni con picchetti notte e giorno. E tutto intorno i cellulari della polizia. Poi andiamo a Salerno in corteo davanti alla prefettura e tutte le altre cose.

Al ritorno in fabbrica io stavo nel mio nuovo reparto. Lí dovevo mettere dei pezzi finiti su una linea che camminava. Un altro li controllava e altri due li mettevano sui carrelli. Ma per recuperare lo sciopero decidono di mettere due linee. Due controllori e altri due che incartavano. Quello che metteva i pezzi su una sola linea li doveva mettere su due linee. Cioè ero io che dovevo fare questa doppia operazione. Per arrivare a questo quelli avevano detto ai controllori che controllavano i pezzi finiti se erano buoni o no di accelerare il ritmo di controllo. Cioè se il pezzo quelli là davanti non lo incartavano lui era autorizzato a metterlo per terra. Che in genere il pezzo a terra non si può mettere perché si può rompere.

E a me mi avevano detto di mettere sempre nuovi pezzi sulla linea. Di spingere i pezzi di metterli stretti. Anche se stretti non si possono mettere perché si possono rompere. Perché sono di porcellana non si devono toccare tra loro. E mi avevano autorizzato anche a stringerli i pezzi. Io dicevo: Ma voi siete pazzi questi si rompono. Mi rispondevano: E a te che te ne frega tu fai cosí come ti è stato detto. Il loro problema era solo di riuscire a aumentare la produzione. Mi chiama un compagno un sindacalista e mi dice: Senti qua questi vogliono farci produrre di piú. Vogliono mettere due linee invece di una e poi tu ti devi fare il culo le devi caricare tutte due.

Io lo dico ai miei compagni che incartavano e loro dicono: Cazzo allora dobbiamo andare piano. E parlano col controllore gli dicono: Ma che cazzo corri vai piano. Quello lí dice: No a me mi va di lavorare cosí. Allora io gli sputo in faccia e poi me ne vado al cesso a pisciare. Arriva il capo della cottura il capo dei forni un geometra. Dice: Lei qua sta rompendo le scatole stia attento che la sbattiamo fuori. Eh gli dico io se lei c’ha le scatole cosí delicate se le può tenere anche a casa. Comunque ritorno al mio posto di lavoro mentre il controllore continuava a lavorare come un matto.

Il giorno dopo arrivo lí al lavoro e mi chiamano i guardioni e mi danno una lettera in mano. La apro e c’è scritto che sono licenziato. Per rissa in fabbrica per sabotaggio e non so che cazzo. Per cui non mi davano neanche gli otto giorni di preavviso e non so quali altri diritti. Io dico: Ma non posso entrare dentro? No non puoi piú entrare. Che questi guardioni li conoscevo uno era il padre di un mio amico con l’altro c’avevo fatto amicizia. Mi dispiaceva fare a botte con loro non c’avevo il coraggio. Da allora decisi che se andavo in una fabbrica da qualsiasi parte non avrei mai fatto amicizia con i guardioni.

Aspettai fuori che entrasse l’ingegnere per farmi dare i soldi. Ma mentre ero lí mi venne da cacare andai a cacare e l’ingegnere passò. Insomma non feci in tempo a acchiapparlo. Andai allora alla camera del lavoro e dissi che mi avevano licenziato per questi fatti qua. Ah non ti preoccupare ci pensiamo noi. Adesso gli facciamo una bella denuncia. Quello ti darà tutto. Intanto mi chiesero se mi ero fatto la tessera del sindacato. Io dissi che la tessera me l’ero fatta durante lo sciopero avevo cacciato mille lire. Va bene e loro mi fanno fare la lettera per l’Ideal Standard. Me la fanno spedire per espresso e per raccomandata spendendo altre due trecento lire. Aspetto una quindicina di giorni piú di quindici giorni aspettai che succedesse qualcosa. Andai da loro e dissi: Sentite qua non ho piú saputo niente e a me mi servono i soldi.

Ma devi avere pazienza non ti preoccupare. Se non pagano facciamo causa e ti daranno tutto. Io mi ruppi le scatole di aspettare. Una mattina andai a aspettare l’ingegnere che entrava in fabbrica. Come arrivò l’ingegnere mi buttai davanti alla macchina. Lui frenò io aprii lo sportello e mi ficcai dentro. Aveva tentato di mettere la sicura io gli misi una mano sopra la spalla e gli sbattei la lettera in faccia. Dissi: Per quale motivo non mi toccano gli otto giorni di preavviso? Siete voi che mi avete licenziato e io adesso voglio essere pagato. Non solo gli otto giorni di preavviso ma anche questo mese di lavoro che ho perso.

Voglio tutto quello che mi spetta. Non di piú e non di meno perché con me non si scherza. Disse: Senti io non c’ero quando tu sei stato licenziato. Se era per me non ti facevo licenziare. Tu sei un bravo ragazzo io ti avrei cambiato di posto. Se vuoi tornare a lavorare ti metto in un posto migliore. Un posto dove non te ne stai in mezzo agli altri un posto per conto tuo. Io dissi che i posti dell’Ideal Standard non m’interessavano piú. Mi sono stufato voglio i miei soldi ora subito immediatamente. Di piú e non di meno di quello che mi spetta. Dice: Sí non ti preoccupare. Mi porta in ufficio chiama gli impiegati. Dice: Fategli i calcoli. Come i calcoli? Sí tutto tutto tutto. Ma no? Sí tutto dice.Fanno i calcoli e mi spettano centoventimila lire. Quello mi chiama e dice: Ti vanno bene centoventimila lire? Io dico: No. Lui allora dice: Senti io con i conti qua questo ti posso dare. Facciamo una cosa adesso ti faccio timbrare il cartellino del mese di novembre dal capo. Te lo faccio timbrare cosí tu il prossimo mese ti vieni a prendere lo stipendio senza lavorare. E va bene dico mi sta bene. Però non facciamo scherzi. Io il prossimo mese torno qua. Lei poi la vedo passare tutte le mattine per Fuorni so anche dove abita. Perciò non facciamo scherzi. L’ingegnere dice: Ma no anzi ti voglio dire una cosa. Metti la testa a posto io ti posso trovare un altro lavoro.

Era uno che era di Brescia era trasferito a Salerno. Non voleva farsi troppi nemici evidentemente. Mica voleva rimetterci la pelle lui per trenta o quarantamila o centomila lire neanche sue. Che cazzo gliene fregava? E disse anche che voleva aiutarmi ti trovo un altro lavoro mi disse. No lei non ha capito io non voglio lavorare piú. Voglio non fare niente. E cosí poi mi andai a prendere i soldi il mese dopo e cosí finí la mia storia all’Ideal Standard. Restai disoccupato per un certo periodo ma mi comprai scarpe eleganti impermeabile vestiti. Spesi tutti i soldi. In meno di quindici giorni spesi tutti i soldi. Tutti quanti li spesi. Non tenevo piú manco una lira.

La disoccupazione non la prendevo perché non c’avevo due anni di marchette. Però nel sud l’ufficio di collocamento mette dei cantieri scuola. Che è solo un modo per distribuire dei soldi alla gente. Ti danno settecento lire al giorno. Tu vai sul cantiere che poi non è neanche un cantiere. E’ un prato dove non c’è niente c’è lí uno che chiama l’appello. Tu dici presente lui ti segna la giornata e te ne vai. Poi il sabato ti vai a prendere i soldi quattromila e duecento lire. E con questi soldi mi compravo le sigarette andavo al cinema piú o meno riuscivo a cavarmela. Per il resto dormivo a casa in famiglia.

Un giorno decido che cosí non andava bene. Mi feci l’ultima lavorazione estiva alla Florio. Lí ci stanno molte fabbriche di conserve quasi tutto pomodoro. Si fa il lavoro stagionale. Prima questo lavoro stagionale variava dai quattro ai tre mesi due mesi. Adesso è di un mese appena perché ci sono meno pomodori. Comunque mi feci un mese alla Florio facendo dodici ore al giorno lavorando la domenica. Feci centocinquanta centosessantamila lire. Non mi misi neanche in mutua perché avevo deciso che dovevo andare a Milano. Generalmente tutti quelli che fanno questa lavorazione stagionale estiva poi si fanno due o tre mesi quattro mesi anche sei mesi di mutua. Cosí prendono duemila o millecinquecento lire al giorno. Cosí fanno quando non c’è lavoro. Si mettono in mutua.