I calabrolesi e la Calabria che ancora non c’è

di FRANCESCO MARIA PEZZULLI

Pino Tripodi è un “calabroleso” e posso dirlo perché appartengo alla stessa razza. Basta leggere l’articolo successivo e si capisce che è calabroleso in senso letterale, leso, o se vogliamo toccato da qualcosa di impalpabile come possono essere le idee, oppure perché gli è andato storto qualcosa che lo ha dirottato verso l’abisso del lavoro vivo e della cooperazione sociale, dove tutto è possibile, dove le idee possono essere mangiate e hanno le gambe per correre veloci.

Mosso dai suoi compagni a prendere la parola, vittima del fato che lo ha reso calabroleso, Pino il vibonese, milanese di adozione e cittadino del mondo, scrive di una “rivolta del voto”, che potrebbe (e dovrebbe) darsi nell’imminente agone elettorale. Suggerisce cioè di usare il voto come una promessa per il futuro, fatta in primis a se stessi, una promessa di impegno etico politico. Questa promessa avviene nel proprio intimo ma anche nell’urna elettorale: scegliendo una lista creata ad hoc, composta inizialmente dai promotori immediatamente revocabili e partecipata solo da chi è disponibile a mantenere l’impegno solenne di occuparsi direttamente della sfera pubblica. Chi vota questa lista non delega nessuno, vota per dire “ci sono” e per vedere chi altro c’è. Chi vota questa lista pensa che il proprio impegno può cambiare il mondo ed anche la Calabria. Questa, in fin dei conti, è l’idea originaria di ogni calabroleso che si rispetti.

Può un seme buttato nello stagno far crescere una macchina da guerra, incendiare una prateria o creare la nuova agorà? Rimbrotti, sorrisini, maleparole. Certo che no, risponde il cinico; certo che si, risponde l’entusiasta. Forse, risponde il sinistro, ma nei modi previsti dalle sacre scritture: alle elezioni si partecipa per vincere e governare e, se va male, per fare opposizione e crescere nei parlamentini locali fino a quando non si diventa maggioranza. Forse mai. Il sinistro ama la delega ed anche quando sembra tradirla o disprezzarla non riesce a vedere altro che la delega, la rappresentanza, il parlamentino, la sedia dove posare il suo stanco sedere. 

Ed è certo che oggi, i sinistri calabresi, stanno già tessendo alleanze, elargendo favori, vomitando il loro presunto e potenziale buongoverno, come se nulla fosse accaduto negli ultimi mesi, come se non fosse a tutti evidente la necrosi della politica istituzionale calabrese, a cui i nostro bravi sinistri locali hanno fortemente contribuito.

Ma anche chi ha sempre saputo distinguere i bambini dall’acqua sporca, i buffoni e malandrini di partito dai politici di livello, nutre qualche dubbio sulla proposta Tripodiana. Questo sembra essere il ragionamento: è vero che la rappresentanza politica calabrese è consunta e sfinita (“i volti, gli incarichi, le istituzioni, i meccanismi di scambio, le clientele, le corruttele, i favori, lo spreco di risorse, le disfunzioni ciclopiche, il dibattito asfittico, gli interessi meschini, il familicidio, il vittimismo, le lamentele, la criminalità sistemica”), ma è anche vero che in questa regione vanno ricostruite le primarie relazioni sociali e politiche, quelle che fanno da leva e da contesto alla crescita delle soggettività, nelle relazioni di vicinanza, nelle pubbliche discussioni, negli incontri tra singolarità. Momenti, tutti questi, lontani e incompatibili con le contingenze elettorali. Scelta etica, si, ma improponibile nell’agone elettorale. Da quest’ultimo ci si può tranquillamente astenere, salvo che non ci sia già una comunità politica in fieri. Se qualche altro motivo spinge a partecipare non ci sono che le regole del gioco, dove chi vota è rappresentato da un votato e chi ha più voti governa.

Insomma, la proposta pare infrangersi sul realismo del periodo elettorale, nel quale il vivo dei bisogni immediati prevale sulle scelte etiche. 

Sarà anche cosi, forse, ma di una cosa sono convinto: che il cambiamento, quello vero, in Calabria non verrà mai per mezzo della delega e non sarà mai favorito dal ceto politico locale e neanche da chi ceto politico intende diventare credendo che uno scranno sia necessario o utile per ricostruire sulle macerie di cui siamo circondati; macerie, sia detto per inciso, create direttamente dal ceto politico o con la sua complicità abitudinaria.

Infine, che dire, nel cupo della notte calabrese credo sia meglio ascoltare una sirena utopica che fantastica di politica come etica pubblica diffusa, arrovellarsi con essa, piuttosto che il suono stridulo di vecchi e nuovi governanti che possono solo offrirci una misera prospettiva di sudditanza.

Se il momento elettorale sia propizio per mettere insieme, in movimento, i calabrolesi sparsi sul territorio regionale non saprei dire, penso però che qualsiasi altro momento è buono per provarci.

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Voto per la Calabria

di PINO TRIPODI

La Calabria è ingovernabile. I recenti fatti riguardanti la regione sono cocente conferma di ciò che è chiaro da tempo. Nominare alti commissari, cambiare governatori, sperare in astri nascenti della politica è pia illusione. La politica, per quanto ha mostrato nel suo volto calabro, è in necrosi. Non può essere, almeno attualmente, considerato farmaco. È la malattia principale della Calabria. Non una cura, ma il fuoco del caos.

Ogni elemento della sua rappresentazione – i volti, gli incarichi, le istituzioni, gli agoni elettorali, i meccanismi di scambio, le clientele, le corruttele, i favori, lo spreco di risorse, le disfunzioni ciclopiche, il dibattito asfittico, gli interessi meschini, il familicidio, il vittimismo, le lamentele, la criminalità sistemica – è consunto, sfinito. Senza un’insurrezione generale, con quella trita macchina della politica c’è solo la coazione a ripetere l’umiliazione, il sentimento di vergogna che alligna tra gli abitanti della regione e della sua diaspora nel mondo.

L’insurrezione generale qui proposta non prevede armi, coltelli o lupare, assalti ai municipi o ai tanti altri palazzi del potere. Sarebbero piaghe aggiunte alla piaga. L’insurrezione generale qui proposta è il rifiuto di seguitare ad oleare con la propria azione o il proprio silenzio quella macchina così criminalmente ben rodata. Un rifiuto che non è disinteresse, che non si palesa con l’astensione dal voto o l’allontanamento dalla sfera pubblica, ma al contrario con il protagonismo diffuso.

L’insurrezione generale qui proposta prevede un mutamento radicale delle regole politiche del gioco, l’insorgenza di una diversa etica politica, di una dialettica rivoluzionaria tra governanti e governati. Proponiamo alla malgovernata Calabria di governarsi effettivamente attraverso un’azione capillare di non governo. La Calabria non ha bisogno di altri governanti. Di governanti ce ne sono già troppi. La Calabria ha bisogno di un’anima.

Nei prossimi mesi si svolgeranno le elezioni per il parlamento regionale. Qualunque sia la coalizione vincente, chiunque siano gli uomini e le donne che andranno a governare qualcosa certo cambierà di sicuro ma sempre in peggio. La Calabria non ha nulla da guadagnare a cambiare i fondoschiena che si poseranno sugli scranni del potere. Eppure quelle elezioni possono risultare un elemento decisivo del futuro della Regione. A condizione che si voti veramente. Con una rivolta del voto.Il voto non è solo una delega di rappresentanza o un giudizio numerico. Il voto ha anche significati meno effimeri. È la promessa rivolta a se stessi o a un Dio di compiere un gesto, di comportarsi in un determinato modo. È un impegno solenne che avvicina il profano al sacro.

Questo è il significato da attribuire al prossimo voto. Non delega in bianco, ma impegno solenne di ciascun votante a occuparsi della sfera pubblica calabrese. Come? Attraverso semplici mosse.

1) Presentazione di una lista elettorale – denominata Il Voto – con il numero minimo di candidati per ogni circoscrizione.

2) Impegno dei candidati eletti a non varcare mai le soglie del parlamento regionale. Non è quello il luogo del cambiamento. La presentazione della lista ha il compito di raccogliere i voti favorevoli a un effettivo cambiamento. Di verificare se esiste in Calabria una sensibilità favorevole al cambiamento. Di mappare queste sensibilità e di costruire con esse un nuovo orizzonte della politica che dia assoluta priorità alla sfera pubblica, – in particolare laddove è stata completamente rosa dagli interessi privati o di piccola bottega: sanità, acqua, formazione, trasporti, turismo, beni culturali e ambientali – e agli interessi collettivi. Continuare nel gioco infinito del privato che si contrappone al pubblico è stolto. Se la sfera pubblica è in salute ogni interesse privato può avere legittimità, se la sfera pubblica viene distrutta solo pochi interessi privati ne possono godere. Nel benessere di tutti può allignare l’interesse di ciascuno. Nel malessere collettivo solo in pochi possono lucrare. La Calabria ha gli spazi intimi forse più puliti del mondo. Per quale ragione lo spazio pubblico non puo avere la medesima pulizia, la medesima importanza, l’identica sacralità?

3) Formazione Comitati del Voto ovunque sia possibile, in ogni luogo e in ogni istituzione.

4) Controllo continuo, asfissiante, spietato, di ogni delibera, di ogni nomina, di ogni gara d’appalto, di ogni atto pubblico da parte dei relativi Comitati del Voto e dei candidati eletti dalla lista.

5) Redazione di idee-progetto per ogni singola materia inerente il campo della sfera pubblica. Ciò allo scopo di bombardare il quartiere generale del governo della cosa pubblica di idee. Di bombardarlo di idee per provare a convincerlo o per costringerlo a realizzarle. Senza idee per le quali appassionarsi e lottare non esiste società. Il problema della Calabria è proprio questo. La politica, gli affari e il malaffare, i mille interessi meschini hanno distrutto la società. La promessa che ci si fa con Il Voto è quella di provare a ricostruire la società calabrese dalle sue macerie.

6) L’attività dei Comitati del Voto nel tempo condurrebbe a creare un’etica pubblica diffusa. Solo quando questa etica pubblica avrà mostrato i suoi benefici effetti ci si potrà occupare direttamente del governo della cosa pubblica.