De Magistris, la Calabria e le etichette


di SUDCOMUNE


In una recente intervista al Manifesto, dopo aver annunciato la sua candidatura alle prossime elezioni regionali in Calabria, il sindaco di Napoli De Magistris dice di voler rompere gli equilibri consociativi attraverso un processo politico “dal basso”, presentandosi cosi come una reale alternativa al ceto politico di destra e di sinistra che ha depredato la regione. Al proclama ad effetto, sul quale in linea di principio siamo d’accordo (sul fatto che il ceto politico di destra e sinistra durante il mezzo secolo che ci separa dall’istituzione delle Regioni hanno “depredato” le risorse collettive a fini politico clientelari e personali), il sindaco di Napoli aggiunge che «le storie dei movimenti sociali e civici di questi anni sono le storie con cui mi sono interfacciato».

Dal basso, con movimenti sociali e civici. Bene! Ma in che senso? cosa vuol dire oggi “dal basso”? Chi sono i movimenti sociali e civici calabresi? E’ il caso di chiarire perché siamo giunti a una situazione in cui le etichette non bastano più: nel 2021 in Calabria dentro un movimento civico potremmo trovarci di tutto, dalle nobili passioni di giovani motivati che si associano agli interessi di sparute famiglie e dei soliti amici degli amici. Ed anche nei movimenti sociali, ai quali ci onoriamo di appartenere, non sono esenti da passioni tristi e dinamiche viziate. Quindi, più che rifarsi a categorie zoppicanti, sarebbe il caso che il sindaco – tra una visita e l’altra a Tansi – specificasse le intenzioni,  un tempo si sarebbe detto “il programma politico”.

Nell’intervista di cui sopra, come in altri recenti proclami, De Magistris parla della Calabria, (che conosce bene per aver sposato una calabrese e per le note vicende che lo hanno coinvolto professionalmente – do you remember “Why not”?) come di una regione simbolo di quello che oggi è diventata la questione meridionale, una regione che ha bisogno di essere governata con un controllo ferreo sulla spesa pubblica, sul “rubinetto di fondi della regione”, intorno al quale negli anni si è “saldato un coacervo di interessi” dei ceti politici locali di destra e di sinistra. Ma la narrazione del sindaco di Napoli non riduce la Calabria a sistema di clientele e corruttele,’ndrangheta e massoneria e via dicendo. Ci sono patologie ma c’è anche dell’altro. Inoltre, non è difficile capire che la sola via giudiziaria allo sviluppo non implica il cambiamento politico e sociale, perché impatta sulle negatività presenti e passate, ma nulla aggiunge. Uno sbilanciamento del discorso politico sulla giustizia penale, oggi in Calabria, rischia inoltre di oscurare l’altra giustizia, quella sociale, “una necessità vitale” di prima istanza. Bonificare dalla criminalità, certo, ma indicare una prospettiva di vita. 

Sulla prospettiva il sindaco napoletano e la sinistra calabrese, anche quella radicale e antagonista, dovrebbero interfacciarsi più in fondo, dal momento che la lotta contro i “sistemi” criminali è stata l’unica chiave di lettura della realtà sociale e politica regionale negli ultimi decenni, la questione che ha oscurato ogni altra ipotesi politica che non mettesse in primo piano manette, scandali, corrotti, padrini e ‘ndranghestisti.  

Per innescare un processo politico che liberi una popolazione “messa al guinzaglio” da un ceto politico corrotto e autoreferenziale va da sé che non basta una semplice dichiarazione di intenti. E’ certamente vero che la nostra regione è “pregna di energie positive” e di “risorse umane”, come volgarmente vengono definite le persone, ma il problema infatti è di metterle insieme queste energie e di assemblarle in un progetto comune. In altre parole: farle diventare energie politiche. E questo non è stato tentato, per lunghi decenni, da chi ha privilegiato la strada del ribellismo o della testimonianza.

Ci chiediamo allora: qual è la “sinistra dei territori” di cui De Magistris si sente parte e che ambisce a rappresentare? Quali energie e strumenti possiede? Quale progetto politico comune intende perseguire? Ancora non abbiamo inteso. 

Come Sudcomune, abbiamo sempre ritenuto di fondamentale importanza, non solo per quanto riguarda la Calabria, il cambiamento nel metodo di far politica, la postura e lo stile, ma abbiamo anche constatato una propensione verso le strade consuete, percorse in modo instancabile e teutonico, nonostante gli effimeri risultati solitamente raggiunti.

Detto ciò, è il caso di specificare che non siamo attratti dalle campagne elettorali perché non è certo il momento giusto per avviare un processo di crescita politica delle soggettività, tanto meno per dipanare le problematiche anzi dette, piuttosto, al contrario l’agone elettorale può accentuare alcuni aspetti deteriori come il leaderismo spicciolo e la millanteria. Riteniamo in tal senso che chiunque voglia compiere un gesto d’amore verso noi tutti calabresi, verso le vite che siamo costretti a vivere, non possa che attraversare la strettoia dell’impegno quotidiano ad agire coerentemente con l’idea di costruire una società fondata su valori alternativi a quella in cui viviamo e le cui esigenze, i propri bisogni e i nostri desideri seguono paradigmi diversi da quelli che oggi frequentiamo.

È dunque certamente necessario partire dal basso, ma non solo; è necessario rivoluzionare anche il linguaggio politico che la “politica politicista” ha reso asfittico, trasformandolo in un gergo aziendalista partitico, cancellando il coinvolgimento, la passione, il sogno, l’orizzonte migliore verso cui tendere. 

È tempo di estirpare le consuetudini  che  ci incastrano nel già detto e sentito, è tempo di rimettere in questione concetti esausti dall’abuso mediatico è tempo di tornare a studiare per anticipare le trasformazioni e mettersi alla testa dei processi di cambiamento invece di rincorrerli finendo per subirli passivamente invece che orientarli verso obiettivi di senso.

Và preso definitivamente atto che i partiti, così come li abbiamo conosciuti, si sono trasformati in imprenditori di se stessi, il loro ruolo e la loro funzione consiste nell’occupare tutti i posti di potere a loro disposizione per guidarli con l’arbitrio dei loro interessi di bottega e nel trascorrere il tempo in pseudo scontri sul nulla. La società e i territori non rientrano nei loro interessi se non quando pensano ti poterne ricavare vantaggi elettorali.                                                                                                              

Una politica che ha ormai perduto la sua capacità di costruire orizzonti di liberazione ed è ridotta a mera tattica e a disinvolti giochi di palazzo. Una sinistra che ha rinunciato alle sue «utopie concrete», ai valori storici che l’hanno legittimata, tutti sacrificati sull’altare della modernità del mercato e dello sviluppo, ci fanno capire che la corsa è molto in salita, perché l’obiettivo è vincere, ma vincere realmente.